News | 20 Maggio 2016 | Autore: Tommaso Caravani

Un gioco pericoloso chiamato premio sul fatturato
Quando si ha una rete di agenti o di clienti fidelizzati un modo per non fargli comprendere assolutamente quanto stanno realmente guadagnando è utilizzare il “premio sul fatturato”. Questa politica, in uso oramai da molti anni in tutti i campi commerciali è piuttosto semplice. Su ogni prodotto che ti vendo ti garantisco un margine per la tua attività (quindi compri da me a X e rivendi a X più il tuo guadagno), però, se in un anno compri un certo numero o un certo valore di miei prodotti ti riconosco un premio molto cospicuo.

Di per se questa pratica è un caso classico in economia, si chiama strategia “push”, cioè, io casa madre stabilisco gli obiettivi e “spingo” sul mercato affinché i miei clienti acquistino di più. In generale la teoria non fa una piega: tutti hanno diritto a un premio se vendono tanto (e quindi comprano molto), diciamo che è un premio per la fedeltà. Eppure il problema è che, se l’unico margine di una attività è dato dal premio, diventa obbligatorio raggiungere il budget per ottenerlo, pena rischiare di guadagnare veramente poco o peggio di non coprire i costi fissi dell'attività.

Nel mondo automotive questa pratica è attuata da anni dalle case auto per la vendita del nuovo: il margine per il cocessionario sulla vendita di una vettura nuova è bassisimo, così basso che non solo non porta guadagno, ma a volte non basta a coprire i costi di gestione dell'autosalone. Per questo motivo, ogni anno, a dicembre (e oramai anche alla fine di ogni mese, perché le analisi sono sempre più stringenti) c'è un picco di immatricolazioni e prolifera il mercato delle km 0. In sostanza, al concessionario conviene acquistare le auto che mancano al raggiungimento del budget per poter ottenere il premio, anche se questo vuol dire svalutare delle vetture nuove quantomeno dell'iva.

Il problema del concessionario, a questo punto, è che non ha più idea della marginalità che ha sulla vendita di un'auto, o meglio, può capire quanto guadagna mediamente su ogni auto, ma non imputare a marginalità precisa di ogni singolo modello venduto.

Anche nel mondo dei ricambi questa politica è parzialmente arrivata, specie per quel che riguarda le strutture più grandi: quando si ha un buon potere di acquisto concessionari e ricambisti, specie nel settore della carrozzeria, tendono a inserire dei premi sul fatturato in acquisto. Il problema è, anche qui, che si perde il controllo della marginalità sul singolo ricambio.

Di per se, tale pratica non sarebbe un vero e proprio problema per il riparatore: se a fine anno ho un buon premio probabilmente ottengo una buona marginalità media. Il problema riguarda la preventivazione al cliente e il controllo dei costi.

In questo periodo storico, infatti, le auto in riparazione sono sempre meno e la richiesta di risparmio è sempre maggiore. Quanto ci si può spingere con uno sconto se non si conosce la il reale gap tra il prezzo di listino e quello a noi riservato? Il rischio è quello di perdere una riparazione perché il preventivo è troppo alto, oppure che si scenda troppo e si venda il ricambio sottocosto confidando nel premio di fine anno.

In ogni caso una pratica pericolosa: gli autoriparatori non hanno bisogno di “premi” ma di informazioni corrette e trasparenti per calcolare la propria redditività, il premio sul fatturato introduce una complessità amministrativa che forse, dove possibile, sarebbe meglio evitare.

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