Approfondimenti | 31 Luglio 2020 | Autore: Tommaso caravani

​Scenari automotive: “the day after (market) tomorrow"

Un webinar poco noto, che ha avuto l’accortezza di portare sul tavolo della discussione argomenti importanti, affrontati con un punto di vista poco ortodosso per il mercato dell’autoriparazione. Tra visioni e scenari, ecco come il mondo dell’autoriparazione potrebbe evolvere nel prossimo futuro.

 

Giuliano Noci è professore ordinario di Strategy and marketing presso il Politecnico di Milano e Prorettore per il polo territoriale cinese per lo stesso ateneo. Ma più che le cariche istituzionali, è una persona che tiene molto sott’occhio le realtà imprenditoriali nel mondo e cerca di intuire i cambiamenti prima che questi avvengano.

È evidente che la pandemia abbia portato numerosi cambiamenti nella nostra società, ma al di là delle perdite di fatturato facilmente riscontrabili in un qualunque conto economico, quali saranno gli effetti nel medio e nel lungo periodo sulla mobilità? E come eventuali cambiamenti modificheranno l’aftermarket?
Di seguito riportiamo le parti più interessanti dell’intervento di Giuliano Noci durante il webinar “The day after (market) tomorrow" organizzato dal Politecnico di Milano il 17 giugno e alcune domande che abbiamo posto all’accademico in quell'occasione.
 

Il cambiamento in atto e le sue ripercussioni

“Ad oggi, molte aziende mettono la testa sotto la sabbia e sperano di tornare a una situazione pre Covid-19. Tuttavia, il Covid-19 sta in realtà accelerando delle tematiche e dei cambiamenti e personalmente ritengo che soprattutto l’aftermarket sarà al centro di queste trasformazioni.
Ho scelto questo ambito proprio perché, più di altri, è in mezzo al cambiamento e per capirlo bisogna partire da uno sguardo trasversale, osservando le quotazioni al Nasdaq e al Dow Jones.

In particolare, già a giugno Tesla aveva raggiunto 190 miliardi di dollari che è un valore superiore alla somma di Volkswagen, Ford, Honda e BMW sommate. Ricordo che Tesla è nata ufficialmente nel 2012 con il primo modello Roadster. Ora, in otto anni, al di là di come sono costruite le valutazioni di borsa, la considerazione ovvia che possiamo fare è che un player nuovo è entrato nel mondo dell’automotive e, in otto anni, ha cambiato le logiche di competizione.
In questo quadro, poi, ci sono altre forzanti che possiamo caratterizzare ulteriormente e sono collegate a Tesla.

Il primo è il tema delle nuove forme di propulsione degli autoveicoli, dall’elettrico all’idrogeno, che con sempre maggiore attenzione, anche se non in modo esplicito, gli assemblatori stanno guardando o, più in generale, i cambiamenti nella fornitura dell’energia. Poi la sempre maggiore pervasività delle tecnologie digitali, e quindi di connected car.
Queste tecnologie entrano nelle vetture e permettono l’accesso agli autoveicoli sia per la vendita del nuovo sia per l’assistenza post-vendita.
Le tecnologie digitali sono quindi driver fondamentali tra mercato e offerta ai differenti livelli.

Questi elementi, se li leggiamo tutti insieme, portano ad alcune conseguenze e traiettorie di cambiamento che devono essere considerate da tutta la filiera, ma in misura ancora maggiore dagli operatori dell’aftermarket.
Quali sono le conseguenze?
La prima è relativa alla modalità attraverso la quale il mercato soddisfa la necessità di mobilità. Se negli ultimi 100 anni abbiamo assistito al concetto di possesso, sempre più e dopo il Covid-19 ancora più velocemente, l’ownership rappresenterà solo una parte del mercato. Tutte le analisi indicano con chiarezza la crescita piuttosto significativa, soprattutto nel mondo occidentale, di pay per usage, con sottoscrizioni per l’utilizzo.
È chiaro che l’approccio da ownership a pay per use si porta dietro molte implicazioni sulle modalità attraverso cui la catena del valore andrà ad articolarsi.
Quindi la prima conseguenza diretta sarà nella gestione del bene in fase d’uso e nell’accesso alle parti di ricambio. Ci saranno delle riarticolazioni e la prima possibile o ipotizzabile è che gli OEM tenderanno a portare avanti azioni sempre più pro-attive per fornire non solo parti all’assemblatore, ma anche farsi carico della gestione di tutti questi componenti nella fase di utilizzo.

Un terzo elemento e seconda conseguenza è che è possibile che gli attori che possiamo considerare come distributori di parti di ricambio dell’aftermarket che veicolano questi ricambi a N soggetti, tenderanno a concentrarsi per avere e giocare economie di scala importanti, ma anche livelli di servizio più coerenti con le necessità degli assemblatori che posseggono i mezzi e li danno in uso al mercato.
Questi processi di aggregazione si porteranno dietro una sempre più marcata propensione di utilizzo di strumenti di vendita innovativi: quindi e-commerce B2B sia per la gestione dei servizi connessi sia per l’ordine dei componenti in aftermarket.

Questa ipotesi porterebbe già dei cambiamenti importanti sul mercato, ma dobbiamo tenere conto che è solo la superficie. Infatti, in un quadro in cui nella catena del valore si riconfigurano i pesi ma gli attori sono gli stessi, questo è vero solo se si considera un’evoluzione attuale senza valutare tutte le variabili. In verità, quello che io vorrei portare alla attenzione di tutti è che gli assetti della catena del valore potrebbero cambiare non solo in termini di pesi, ma anche per l’entrata di nuovi player.
Perché penso a questo fenomeno? Perché un veicolo che trasmette dati e la possibilità di utilizzarli apre delle prospettive ad attori che possono fruire di questi dati per gestire ad esempio i processi di manutenzione, che evidentemente possono essere portati avanti anche dai classici attori odierni, ma se guardate all’interesse di giganti come Google o Apple nell’auto, è evidente che vedano nei dati connessi all’auto nuove frontiere per i big data e la vendita di servizi.
L’altro elemento che va considerato è quello legato a un attore che già opera nel mondo automotive ma potrebbe acquisire ruoli nuovi: penso cioè alla crescente influenza che potranno giocare attori come il mondo assicurativo oppure il mondo del leasing, cioè attori che sfruttando il tema della connected car potranno inserirsi nella logica pay per use come integratori. Quindi andando a dire agli assemblatori: “guarda io mi faccio carico della copertura del rischio ma anche della gestione del rischio di malfunzionamenti.”
Utilizzando la connected car, infatti, nessuno esclude che una società assicurativa possa coprire rischi di rotture con analisi predittive. Questa è la porta di ingresso in un mercato laterale, e non perché le assicurazioni si metteranno a produrre ricambi e componenti, ma mireranno ad avere un ruolo pivotale, orchestreranno cioè la distribuzione.
Noi ci aspettiamo potenziali scenari disruptive.

Se prima del Covid-19 questi scenari avevano un orizzonte di 5/10 anni, dopo risulteranno molto accelerati. Di certo le imprese devono oggi costruirsi una strategic road map per andare, nei prossimi anni, a organizzare una transizione che avrà come punto di atterraggio un’azienda molto diversa da quella che oggi, ad esempio, vende componenti e parti di ricambio.
Cerchiamo allora di qualificare le dimensioni di tale cambiamento.
La prima riguarda la dimensione internazionale: i mercati serviti.
Il mondo occidentale ha circa 930 automobili ogni 1.000 abitanti. In Cina circa 150. Il futuro è in Asia, che non vuol dire che i mercati occidentali non sono importanti, ma non crescono. Tutti hanno rapporti per cui l’aftermarket crescerà, ma non crescerà in Europa.

Il secondo riguarda il modello di business: quale sarà il modello di business futuro?
Tra cinque anni si venderanno componenti come sono venduti oggi? No, da un lato gli e-commerce B2B, dall’altro un cambio di scenario, che vedrà centrale il tema della servitizzazione: non si venderanno più solo componenti, ma grazie ai componenti sarà fondamentale gestire i servizi di manutenzione. E questo dovrà avvenire non solo verso gli individui, ma verso gli assemblatori dell’automotive, gli assicuratori e le società di leasing. Quindi il modello di business dovrà per forza cambiare anche per la differente tipologia di attori rispetto ai quali porto a casa i ricavi.
Il terzo cambiamento è più una riflessione strategica: il mix tra prodotti e servizi, personalmente, ritengo sia destinato a cambiare, con sempre meno prodotti e sempre più servizi nel nostro portafoglio di offerta, o almeno questo è il trend più probabile.
Tirando le fila, è chiaro che gli operatori dell’aftermarket rischiano di essere in mezzo tra le azioni proattive degli OEM e le azioni dei nuovi intermediari e player.

Come gli operatori dell’aftermarket possono resistere a queste pressioni? Io credo che la risposta sia nei tre temi proposti e nella capacità di porsi in maniera proattiva sul mercato senza aspettare l’arrivo di nuovi player.
Inoltre è necessario essere consapevoli di quattro punti polari che devono essere cardinali per l’orientamento.
1) Non c’è più solo il tema di far costare meno il ricambio, ma di erogare servizi migliori e superiori rispetto alla concorrenza, puntando su una logica di marca, che è un argomento molto importante.
2) Il prodotto non può essere più il fuoco esclusivo, è condizione necessaria ma non sufficiente per affrontare le sfide che il mercato pone e in questo senso il tema della servitizzazione diventa sempre più significativo: bisogna diventare i gestori dei dati.
3) La necessità di segmentare sempre meglio il mercato e sviluppare azioni di targeting conseguenti. Il tema della servitizzazione e della segmentazione del mercato imporrà la scelta di quale sarà il target da seguire: non sarà la stessa cosa seguire le flotte aziendali, quelle di grandi aziende, gli individui privati e il car rental del mondo del turismo. Ogni realtà richiederà value proposition diverse e una conoscenza specifica dei bisogni emergenti del target che ha scelto.
4) Propensione alla collaborazione. È evidente che tutto quanto detto richiede un modo nuovo di rapportarsi rispetto agli attori della value chain e ad attori fuori, nuovi intermediari finanziari eccetera. La capacità di fare la differenza sarà legata alla capacità di creare un ecosistema in cui il distributore gioca un ruolo di strumento privilegiato rispetto alla suonata che va in onda, nella consapevolezza che essere il direttore di orchestra non sarà facile.

Ultimo aspetto fuori dall’automotive. Nel 2007, 12 anni fa, non c’era l’iPhone. Non c’era l’Apple Store. Nel 2019 il solo Apple Store ha fatturato 560 miliardi di dollari, pari a un terzo del PIL italiano, raggiunto in soli 12 anni. Quindi, quando a qualcuno viene in mente di rallentare, gli dico di spostare il piede sull’acceleratore”.
 

Tre domande a Giuliano Noci

L’intervento di Noci è stata un’occasione di grande stimolo, che ha fatto sorgere numerose domande. Abbiamo sintetizzato in tre quesiti le tematiche principali.
 
Nel suo intervento ha parlato molto di B2B come futuro per i rapporti tra distribuzione e utilizzatore dei ricambi, eppure negli ultimi anni abbiamo assistito (a dire il vero con alterne fortune) alla nascita di molti e-commerce B2C; come vede questo strumento di vendita?
Il B2C inevitabilmente crescerà, e a spingerlo in alto sarà anche il Covid-19. Tuttavia per il futuro sarà destinato solo a quei clienti che hanno l’ownership dell’auto e non penso che sarà il fenomeno strutturale che permetterà alle aziende di gestire il futuro. Diciamo che per un medio periodo può essere un’opportunità, ma per esserlo davvero non possiamo escludere il livello mondiale.
La dimensione internazionale è sicuramente un aspetto che può fare la differenza, anche nel caso di una offerta di natura assistenziale, perché sarà sempre più improbabile che qualcuno acquisti i ricambi per installarli.

 
Ha accennato a nuovi attori nel campo dell’insurtech che potrebbero entrare nel business dei ricambi, eppure ad oggi, molte compagnie paiono molto indietro proprio sul lato informatico, come è possibile?
Il settore assicurativo è sicuramente un altro settore destinato a enormi cambiamenti. Quando penso alle compagnie del futuro, purtroppo, non vedo i nomi di oggi, ma soggetti quali Google o delle Fintech completamente nuove, in grado di lavorare sui dati per personalizzare l’offerta dei prodotti assicurativi.
In quest’ottica è evidente che nel pacchetto di prodotti il servizio farà la differenza.

 
Un’ultima domanda sul mondo della distribuzione ricambi: in Italia abbiamo una distribuzione a tre step, con distributore, ricambista e autoriparatore. Tra distributore e ricambista, chi ha maggiori chance di essere un protagonista dell’aftermarket nei prossimi anni?
Il tema del cambiamento non riguarda le dimensioni aziendali o del business, ma la capacità manageriale.
Airbnb 12 anni fa non esisteva, oggi è il più grande player internazionale. È una società che non fa scala sulle risorse, ma sui dati e da questo punto di vista non sono necessari gli investimenti che ha sostenuto Marriott, che ha costruito gli hotel e se li è comprati.
In 12 anni Airbnb ha reso disponibili sei milioni di camere, orchestrando risorse distribuite non possedute (per restare nell’esempio, la catena Marriot ha una disponibilità di 150.000 camere).
Quindi le dimensioni non contano, conta molto di più la fame di business.
Purtroppo in Italia non abbiamo le risorse umane, e parlo anche degli imprenditori: se uno raggiunge i 10 milioni di fatturato poi va in pensione, mentre nel resto del mondo ci sono aziende come Starbucks che non hanno bisogno di soldi, ma vogliono comunque lasciare il segno. Da questo punto di vista tendo ad essere un po' pessimista, perché questa “fame” è sempre meno evidente soprattutto nelle nuove generazioni.

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