Opinioni | 07 Novembre 2025 | Autore: Tommaso Caravani

ESG, tre lettere e una sfida per tutta l’autoriparazione

Non basta più riparare bene: ora bisogna dimostrare l’impatto ambientale e sociale di ogni ricambio e di ogni processo. L'editoriale di Tommaso Caravani.



Nel mondo dell’automotive ci sono sigle che passano di moda in fretta, e altre che restano. L’ultima, in ordine di tempo, è ESG (Environmental, Social, Governance), ovvero i criteri ambientali, sociali e di governance che misurano come un’impresa gestisce il proprio impatto sul pianeta e sulla società. Tre lettere che stanno ridisegnando le regole del gioco per chiunque operi nella filiera dell’autoriparazione: produttori, distributori, ricambisti, officine, carrozzerie eccetera.

L’Europa ha scelto di prenderla sul serio. Con la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), la direttiva europea sulla rendicontazione di sostenibilità, le imprese (a iniziare da quelle più grandi) dovranno rendere conto non solo delle proprie emissioni dirette, ma anche di quelle indirette lungo la filiera, i famosi “Scope 3”. Tradotto: la sostenibilità non finisce ai cancelli della fabbrica, ma passa anche per chi consegna un ricambio, lo installa, lo smaltisce, lo rigenera, lo vernicia eccetera.

A questo impianto normativo si aggiungono poi altre regole molto concrete. Il Regolamento Batterie 2023/1542 introduce il passaporto digitale: ogni batteria avrà un QR code per tracciarne origine, materiali e contenuto riciclato.
E la Direttiva (UE) 2024/1799 sul diritto alla riparazione, già approvata, renderà obbligatorio per i riparatori proporre anche pezzi rigenerati o usati. È la circolarità che entra davvero nel mondo della riparazione, non solo nei convegni.

Chi pensa che si tratti di un balzello tutto europeo sbaglia: le famose tre lettere sono ormai universali. In Cina l’ESG è diventato uno strumento di politica industriale, funzionale alla leadership su batterie e mobilità elettrica. Lì la sostenibilità non è una scelta, è una strategia nazionale. 
Negli Stati Uniti, invece, la SEC ha provato a introdurre regole simili, ma si è fermata a metà: il dibattito è aperto e l’applicazione ancora incerta, però le aziende si sono già attrezzate, perché è difficile non fare affari con il resto del mondo.

In mezzo, c’è il nostro aftermarket: europeo, frammentato, ma sempre più attento. Le imprese della riparazione – anche le più piccole – saranno chiamate a misurare e dimostrare il proprio impatto. Non basterà più dire “riparo bene”, servirà anche sapere quanta energia si consuma, come si gestiscono i rifiuti, da dove arrivano i materiali.

Potrebbe sembrare l’ennesimo balzello, ma non necessariamente è una cattiva notizia. In fondo, chi ripara, rigenera e mantiene in vita milioni di veicoli fa sostenibilità da sempre, solo che ora dovrà raccontarla meglio. L’ESG, alla fine, non è un obbligo calato dall’alto. È una sfida di maturità: capire che la sostenibilità non è un costo, ma il nuovo modo di restare competitivi.

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