La situazione che sta attraversando l’Italia è una delle più difficili dal dopoguerra. Sicuramente, la mia, ma anche molte altre generazioni, non hanno mai vissuto niente di simile.
Allarmismi e ammende sui social sicuramente non aiutano a capire come affrontare questa situazione anche perché, nonostante molti pensino di avere la verità in tasca o di “fare chiarezza” una volta per tutte, in realtà è il mondo ad essere impreparato a questo scenario. Non solo l’Italia.
Il massimo che si può fare è cercare di documentarsi da fonti ufficiali e cercare di analizzare i fenomeni.
Con le ultime misure restrittive, diffuse su social e mezzi di comunicazione, abbiamo purtroppo assistito all’ennesima fiera dell’incompetenza. L’autoriparazione è stata declassata, secondo i famosi “esperti”, e definita come attività non indispensabile. Come se la mobilità fosse una cosa a cui possiamo rinunciare.
Le chiacchiere, per fortuna, si sono interrotte con la pubblicazione in Gazzetta del decreto, ma le criticità restano.
Il decreto, infatti, prevede che l’attività di autoriparazione possa continuare, così come l’attività di vendita ricambi, purché operata come grossisti (cioè senza vendita diretta ai privati).
Tuttavia, il quadro della situazione è piuttosto complesso: se infatti il settore dell’autoriparazione può operare, le difficoltà che incontreranno i volenterosi sono notevoli.
Alcuni dei più grandi gruppi di vendita di automobili hanno fermato le proprie concessionarie (si pensi ad Autotorino, il gruppo PAG, che possiede il marchio AutoVanti, il gruppo Bossoni, solo per citarne alcuni), ma hanno chiuso anche molti operatori del mercato indipendente. Inoltre, il vero problema non è neanche l’approvvigionamento dei ricambi e dei materiali di consumo, che pur rimangono cruciali, ma la mancanza di clienti.
Con la scorsa settimana, infatti, in quasi tutte le attività si sono esaurite le lavorazioni legate a prenotazioni precedenti, così come l’ultima settimana è servita a terminare le lavorazioni più impegnative. E non è un caso se colossi come Norauto hanno deciso di rimanere aperti, ma puntando più che altro sull’e-commerce e sul “fai da te”, perché, nonostante l’apertura (dal lunedì alla domenica, tanto per togliere qualche dubbio), probabilmente i passaggi attesi sono molto pochi.
Chi pagherà il conto? Il problema più grande di questa pandemia (oramai la possiamo chiamare così) è che a pagare lo scotto più alto saranno gli operatori corretti che più hanno investito negli ultimi mesi. Secondo molti (e sempre ben informati) “internettisti”, la crisi porterà finalmente a una pulitura del mercato. L’assunto è semplice: il mercato italiano dell’autoriparazione soffre di troppi attori. Troppi meccanici, troppi carrozzieri, troppi gommisti, troppi centri revisioni (che però continuano ad aumentare), troppi ricambisti, troppi dealer e troppi distributori di ricambi.
In un momento di crisi, stando a questo ragionamento, sarà dunque il mercato a fare pulizia. Purtroppo non è così e la crisi del 2008, che sull’autoriparazione è arrivata fino al 2012, lo ha dimostrato. A soffrire (e nei casi peggiori a chiudere) saranno le strutture sane di medie dimensioni. Perché chi è già così grande da poter contrattare con i fornitori e con gli istituti di credito sicuramente supererà il momento. Stesso dicasi per chi, invece, ha parecchia liquidità in azienda (metaforicamente chi ha i soldi in tasca) e ha fatto pochi investimenti, diciamo le piccole realtà. Poi c’è la classe media. Ma come nella società così nell’autoriparazione: a “pagare” fisicamente le crisi non sono né i poveracci né i nobili, ma la borghesia.
E così chi ha sempre lavorato onestamente e ha pensato al futuro con investimenti anche importanti, magari in nuove tecnologie e miglioramento della propria struttura, oggi si trova penalizzato.
In questa confusione generale, speriamo solo che qualcuno tra i nostri politici si ricordi di queste persone, mettendo in campo un po’ di risorse per aiutarle. Non servono grandi annunci, ma azioni concrete.